“Se l’oro seduce per i suoi vivi brillori, per la sua preziosità, i chiarori degli argenti affascinano e stupiscono per il mistero del loro casto lucore lunare, per i loro umili toni, per i loro miti riflessi, come di tranquille acque marine, al tremolare dell’alba, prima che si levi il sole”. Queste parole di Mons. Gangemi ci sembrano il modo migliore per introdurre la sezione degli argenti: si tratta in gran parte di argenti sacri, ostensori, calici, turiboli, pissidi, navette.

La gran parte dei pezzi appartiene alle scuole napoletana e messinese e vanno dal XVI-XVII secolo fino al XX. Tra gli argenti messinesi una particolare navicella portaincenso, realizzata a cavallo del Seicento, rappresenta il pezzo più antico della collezione, caratterizzata da decorazioni “mostruose”. Del Seicento è un turibolo di Pietro Juvara, capostipite della famiglia di orafi cui com’è noto, apparteneva il celebre architetto Filippo, e proprio a questa famiglia andrebbero ricondotti un ostensorio e un calice presenti nella collezione.

Anche la scuola napoletana è qui rappresentata con esemplari di pregio, come un ostensorio di Andrea Cinque e una navicella di Gennaro Pane.

Di provenienza locale una patena in argento dorato, realizzata con il primo argento estratto dalla miniera di Arangea, alla periferia sud di Reggio Calabria, attiva nel ’700. Il re Borbone Carlo III, insieme alla moglie Amalia di Polonia, vi fece incidere una dedica, offrendola a Dio come primizia. Molto interessanti alcuni argenti orientali: oltre ad alcuni calici ricchi di pietre e smalti, vogliamo ricordare due cofanetti reliquiari russi e una croce  filigranata macedone.